I rapporti tra abolitio criminis e raddoppio dei termini di accertamento alla sezione V

Con ordinanza interlocutoria n. 23274/21 del 20 agosto 2021 la sezione sesta (“filtro”) della Cassazione ha rinviato alla sezione tributaria, stante “la novità e la peculiarità della questione”, la decisione sulla sussistenza dei presupposti per il “raddoppio” dei termini di accertamento nel caso in cui nel periodo intercorso tra la verifica e la notifica dell’atto impositivo sia venuta meno la rilevanza penale della violazione accertata ([1]).

La vicenda oggetto del giudizio riguarda una contestazione mossa dalla G.d.F. per il periodo d’imposta 2010 cui si era accompagnata la denuncia all’A.G. per il reato di infedele dichiarazione (IRES). Il pvc ricostruiva infatti la sussistenza degli elementi oggettivi di tale violazione, tra cui il superamento, per circa €30mila, della soglia di punibilità, all’epoca fissata in €50mila di imposta evasa. Successivamente alla notifica del pvc e prima della scadenza del termine “ordinario” di accertamento, la riforma dei reati tributari recata dal d.lgs. n. 158/2015 ha innalzato a €150mila la soglia così estinguendo retroattivamente il reato ex art. 2 c.p. (c.d. abolitio criminis). L’ufficio accertatore, tuttavia, ha ritenuto che la sopravvenuta abolitio non potesse inibire ex post il “prolungamento” del termine concesso all’amministrazione per l’esercizio del potere di accertamento ed ha dunque notificato l’avviso alcuni mesi oltre la scadenza del termine “ordinario”.

Ne è conseguito un contenzioso che ha visto la contribuente ottenere ragione innanzi alla CTR Lazio (sent. 29 novembre 2019, n. 6700/11/19). Da qui il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha ribadito la tesi per cui l’astratta punibilità della condotta infedele ascrivibile al contribuente ex art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 ai fini del raddoppio del termine di accertamento deve essere valutata con esclusivo riguardo «al periodo di imposta in cui la violazione era stata commessa» e, quindi, all’epoca in cui l’obbligo della denuncia penale ex art. 331 c.p.p. era insorto.

Il ricorso erariale è stato ritenuto “manifestamente fondato” dal relatore della sezione filtro con conseguente proposta alla Corte di suo accoglimento in camera di consiglio. Ciò richiamando il noto precedente della stessa sezione (n. 13483/2016) secondo cui, ai fini del “raddoppio”, la soglia di rilevanza penale “va valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale”.

La controricorrente ha ribadito la sua opposizione, fondata invero sullo stesso precedente che appare in linea con il principio tempus regit actum, da cui deriva che l’amministrazione al momento della notifica dell’avviso di accertamento deve verificare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere impositivo, primo tra tutti la pendenza dei termini per l’accertamento. Con la conseguenza che “se, come avvenuto nel caso di specie e come pacificamente riconosce la stessa Amministrazione, al momento in cui è effettuato l’accertamento, è esclusa la rilevanza penale della condotta, viene meno ex se la possibilità di ricorrere legittimamente al “raddoppio” del termine di accertamento, a prescindere dalla circostanza che durante le fasi di iniziativa/istruttoria dello stesso procedimento amministrativo tributario sussistesse, in astratto, una tale rilevanza penale”.

La sezione sesta ha infine rigettato la proposta di accoglimento del ricorso erariale, riconoscendo che il proprio precedente è intervenuto in un caso in cui, dopo aver annullato in via di autotutela l’avviso di accertamento, l’amministrazione aveva ridotto l’importo della pretesa impositiva, facendo venir meno la soglia di punibilità e l’obbligo di denuncia penale. “Diversa è invece l’ipotesi sub iudice, in cui la soglia di punibilità della condotta imputabile al contribuente è stata variata dalla sopravvenienza di una riforma della norma incriminatrice, che ha elevato l’ammontare della imposta evasa ai fini della consumazione del reato tributario. Per cui, allorquando la rilevanza penale dell’inadempienza agli obblighi tributari assurga ad elemento costitutivo di una norma amministrativa, occorre chiedersi se l’eventuale modifica in melius della norma incriminatrice possa o meno esplicare efficacia retroattiva (ex art. 2, comma 2, cod. pen.) anche nel procedimento diretto all’accertamento della violazione tributaria, nel senso di inibire o caducare i riflessi conseguenti alla qualificazione originaria della fattispecie concreta, nel cui consolidamento – ai fini dell’esercizio della potestà impositiva – l’A.F. aveva fatto affidamento”.

La decisione spetterà adesso alla sezione quinta.

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[1] Cfr. sul tema https://www.salviniesoci.it/pubblicazioni/labolitio-criminis-preclude-lesercizio-del-potere-di-accertamento-nel-termine-raddoppiato/ nonché https://www.salviniesoci.it/manuale-professionale-di-diritto-penale-tributario/ (cap. II, par. 6, pag. 122 ss.).