Giurisprudenza

Il “raddoppio” del termine non opera per l’accertamento della Robin Hood Tax (CTP Roma, sent. 17 maggio 2018, n. 13821/18)

IL “RADDOPPIO” DEL TERMINE NON OPERA PER L’ACCERTAMENTO DELLA ROBIN HOOD TAX.

Il c.d. raddoppio del termine ordinario di accertamento – previsto, sul piano transitorio (periodi d’imposta ante 2016) dall’art. 1, comma 132, del d.lgs. n. 208/2015, allorché sia riscontrata una “violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per alcuno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74” – non può mai operare con riferimento all’addizionale IRES per il settore energetico (c.d. Robin Hood Tax) in quanto le violazioni della disciplina di tale imposta non sono penalmente perseguibili. È questo il principio riconosciuto dalla CTP di Roma con sentenza n. 13821/18 del 9 luglio u.s. (pres. Centi; rel. Volpe), intervenuta in merito all’impugnazione di avvisi di accertamento notificati nel 2016 dall’Agenzia delle Entrate con riferimento ad una frode fiscale asseritamente perpetrata in annualità i cui termini ordinari di accertamento erano ormai “scaduti”.
Secondo la società ricorrente, la sussistenza dell’“obbligo di denuncia” – ergo, la valutazione della sussistenza di una violazione di rilievo penale-tributario – deve essere valutata alla data di produzione degli effetti dell’atto finale del procedimento accertativo, ossia al momento della notifica dell’avviso di accertamento. È, infatti, pacifico che gli atti del procedimento di accertamento tributario, al pari della generalità degli atti amministrativi, soggiacciono al principio tempus regit actum e che, dunque, per individuare le norme applicabili all’atto da emanare, l’Agenzia delle Entrate deve considerare anche i mutamenti che l’ordinamento subisce durante il procedimento che conduce all’emissione dell’atto stesso. Pertanto, ai fini della disciplina del raddoppio dei termini di accertamento, l’Agenzia è tenuta a valutare se, al momento dell’emissione dell’atto, persista la rilevanza penale della violazione che essa intende contestare; qualora, infatti, venga meno il rilievo penale della violazione contestata, difetta il descritto presupposto di operatività del “raddoppio” del termine di accertamento.
Nel caso oggetto del giudizio, al momento della notifica dell’avviso di accertamento non sussistevano i presupposti oggettivi per l’inoltro della denuncia penale per il reato di frode fiscale (art. 2 d.lgs. n. 74/2000), con riferimento alla dichiarazione presentata ai fini della Robin tax, poiché, come ben noto, la Corte Cost., con sent. 13 gennaio 2015, n. 10 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale imposta, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
Ne deriva che qualunque violazione commessa ai fini della Robin tax è divenuta priva di rilevanza penale, in quanto è venuto meno il nucleo essenziale della condotta prevista dal richiamato art. 2 del d.lgs. n. 74/2000 (e dalle restanti fattispecie di reato connesse alla violazione della disciplina di tale imposta), ossia la presentazione di una dichiarazione fraudolenta ai fini della citata imposta. Costituisce invero ius receptum il principio per cui il venir meno, per effetto della declatoria di incostituzionalità, della norma extrapenale – quale quella di natura “tributaria” istitutiva della Robin tax – che concorre a determinare la condotta penalmente rilevante determini il medesimo effetto retroattivo di abrogazione della fattispecie di reato (c.d. abolitio criminis) sancito dall’art. 2, co. 2, c.p. (v. art. 673 c.p.p.; cfr. Cass. pen., sent. n. 9482/2005). Con la conseguenza per cui il riscontro di asserite violazione ai fini della disciplina della Robin tax non può in nessun caso determinare l’integrazione dei presupposti dell’obbligo di denuncia in capo all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 331 c.p.p. e, dunque, legittimare il “raddoppio” del termine di accertamento previsto dalla disposizione in rubrica.
Né assume alcun rilievo il fatto che la Corte Costituzionale abbia sancito che la dichiarazione di incostituzionalità della Robin tax operi solo pro futuro, ossia “a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della presente decisione” in G.U. Tale originale (e discussa) decisione della Corte è, infatti, destinata ad esplicare effetti solo con riferimento all’obbligo di corrispondere l’imposta riferita ai periodi d’imposta precedenti alla dichiarazione d’incostituzionalità della Robin tax, ma non è, viceversa, idonea ad intaccare l’operatività dei principi sanciti dall’art. 2 c.p. e dalla giurisprudenza della Suprema Corte in tema di successioni di leggi penali nel tempo.

 


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