Questa interessante sentenza affronta, a quanto consta per la prima volta, il tema della interpretazione delle nuove disposizioni in materia di rimborso dell’IVA non dovuta recate dall’art. 30 ter d.p.r. n. 633/1972, introdotto dalla l. n. 167/2017.
Una società ha subito un accertamento con il quale – come non raramente accade – l’Agenzia ha qualificato come cessione di azienda, soggetta al pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale, una cessione di beni di magazzino che il cedente ha assoggettato ad IVA. Tuttavia, a seguito dell’insolvenza dell’acquirente, la contribuente non ha mai ricevuto il pagamento in via di rivalsa dell’IVA applicata alla cessione.
A seguito della definizione in adesione di tale accertamento la contribuente ha presentato, ai sensi dell’art. 30 ter d.p.r. n. 633/1972, di recente introduzione, una istanza di rimborso dell’IVA erroneamente applicata alla cessione, ricevendo in risposta un atto interlocutorio, denominato “richiesta di informazioni”, con il quale l’Agenzia ha affermato che l’erogazione del rimborso doveva ritenersi subordinata, ai sensi dell’art. 30 ter, comma 2 (secondo cui “Nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”), alla restituzione al cessionario dell’imposta indebitamente assolta in via di rivalsa. E ciò non considerando che, nel caso di specie, tale asserita “condizione” non poteva verificarsi, dal momento che il cessionario non aveva pagato l’IVA addebitatagli in via di rivalsa: non poteva perciò neanche astrattamente configurarsi un obbligo di “restituzione”.
La CTP Napoli, nella sentenza annotata, si concentra – e qui sta il suo motivo di interesse più generale, al di là della peculiare vicenda dedotta in giudizio – sulla corretta interpretazione dell’art. 30 ter, comma 2, affermando in primo luogo la natura speciale di questa disposizione rispetto a quella contenuta nel comma 1 dello stesso articolo (secondo cui “Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”). Con la conseguenza che laddove il comma 2 non possa applicarsi, il rimborso spetta comunque laddove si ricada nella fattispecie più generale di cui al comma 1.
In secondo luogo e soprattutto, afferma correttamente che il comma 2, nel fare riferimento al rimborso dell’imposta al cessionario, non intende costituire una condizione al rimborso medesimo, ma semplicemente fissare a favore del contribuente un più ampio termine – rispetto al comma 1 – per la richiesta di rimborso, nel caso la restituzione dell’IVA al cessionario sia stata effettuata.
Di conseguenza accoglie il ricorso della contribuente.
Su tutti questi temi si rinvia alla più ampia trattazione svolta nell’articolo “IVA non dovuta: una nuova disciplina poco meditata”.